Per “Uvaggi bianchi” intendiamo tutti quei vini bianchi e fermi ottenuti vinificando uve di più di un vitigno in proporzione variabile e laddove (almeno in linea di principio) non vi sia predominanza assoluta di uno dei vitigni tale da fare ricadere il vino in una tipologia più specifica. Tecnicamente, laddove la vinificazione parallela non fosse possibile, per ragioni legate alle pratiche di cantina o per l’epoca di maturazione delle uve, si dovrebbe più correttamente parlare di assemblaggi. Si tenga presente che quasi tutti questi vini rientrano tra le tipologie di denominazioni IGT, le quali prevedono ampia libertà per il produttore di scelta della composizione del vino. In questi casi il più delle si sceglie di dare al vino un nome prorpietario, anzichè la semplice indicazione “Bianco…IGT”. A dire il vero anche la maggior parte dei disciplinari DOC e alcuni DOCG prevedono per le tipologie da essi individuate l’uso del nome del nome del vitigno qualora presente nel vino per una percentuale di almeno l’85% (in alcuni casi anche il 70%), mentre il restante 15% (o più) può essere composto da uve “raccomandate o autorizzate” per la provincia o regione in oggetto. Questo fa sì che molti dei vini nei quali ci imbattiamo, anche se l’etichetta dice “Chardonnay” o “Sauvignon” siano in realtà degli uvaggi. A parte l’ovvia situzione nella quale per tradizione i vigneti, soprattutto quelli meno recenti, fossero storicamente “misti” e quindi tale norma consenta l’inclusione di tutta una vendemmia di quella determinata vigna, è chiaro che questo tipo di libertà da disciplinare permette l’uso di vitigni “complementari” per rinforzare alcune caratteristiche del vitigno di base (colore, acidità, tannicità, profumi, contenuto zuccherino dei mosti…) o attenuarne altre. Anche da questo, oltre che dallo stile di vinificazione, può dipendere il diverso profilo gusto-olfattivo di vini omogenei per tipologie e provenienza.